Ci sono ben 10 mila piccole imprese oggi in Italia che stanno unendo le loro forze nei consorzi di Valore Impresa. È questa la fotografia del network di piccole e medie aziende guidato dal Presidente Gianni Cicero, che in pochi anni ha costituito in tutta Italia 26 società consortili per azioni di settore. "La filosofia della nostra iniziativa – spiega Cicero – si concentra nel creare medie imprese attraverso l'aggregazione di piccole imprese che, sommando i dati e i requisiti in termini di fatturato, logistica e risorse umane, possono partecipare a quei mercati dove singolarmente non potrebbero presentarsi".
Vuol dire che si sta superando la mentalità dell'imprenditore legato al pregiudizio "piccolo è bello"?
Certamente. Oggi siamo in presenza di un netto cambio generazionale con giovani che hanno ereditato l'attività dai genitori e dai nonni, i quali avevano impostato la conduzione dell'azienda con una logica esclusivamente familiare e che ora devono fare i conti con una realtà del tutto diversa da quella degli ultimi decenni del secolo scorso.
Oggi, se si vuole stare sul mercato interno ma soprattutto estero, occorre dotarsi di una gestione manageriale qualificata e assumere dimensioni adeguate alle richieste del mercato globale.
E Valore Impresa come intende assecondare questo processo di trasformazione del sistema delle piccole imprese italiane?
Siamo convinti che la strategia vincente sia quella di fare rete e ci muoviamo in questa direzione creando collegamenti e sinergie sia in termini di filiera che di aree territoriali e i risultati sono davvero incoraggianti. Inoltre, per favorire il passaggio generazionale e la trasformazione della vecchia azienda a carattere familiare, proponiamo di affiancare ai giovani imprenditori o ai creatori di startup la figura dell'imprenditore tutor, ossia di un manager ben attrezzato sul piano delle competenze di gestione aziendale avanzata e della tecnologia più innovativa. Insomma la vera sfida è quella del passaggio generazionale per essere al passo con innovazione e crescita. Le nostre Pmi, che sono da decenni motrici del sistema paese, devono saper cogliere le grandi opportunità derivanti dal mercato globale e hi-tech.
Ma quali sono gli ostacoli che incontrate in questo vostro percorso?
Purtroppo i problemi sono sempre gli stessi: l'incidenza eccessiva degli oneri fiscali, le incombenze di carattere burocratico e amministrativo che assorbono le energie che dovrebbero essere dedicate alla produzione e soprattutto le difficoltà nell'accesso al credito e alle risorse finanziarie necessarie per la crescita e lo sviluppo dell'azienda.
E come vi state muovendo per rimuovere questi ostacoli?
Per quanto riguarda la pressione fiscale e la complessità del sistema burocratico abbiamo avviato un confronto serrato con il governo e con le forze politiche di maggioranza e opposizione, riuscendo anche a far passare qualche misura di tutela per le partite iva con un fatturato limitato. Per la questione del credito alle imprese riteniamo invece che sia giunto il momento per le aziende e i consorzi di aprirsi a forme alternative di finanziamento come il private equity e il venture capital.
Ma dal suo osservatorio ritiene che ci siano le condizioni per avviare un nuovo rapporto di reciproca utilità tra risparmiatori privati e imprese?
Il cambiamento del contesto generale è sotto gli occhi di tutti e le aziende devono rendersi conto che per il loro sviluppo servono nuove iniezioni di capitale e questo non può più dipendere esclusivamente dall'apertura del rubinetto del credito bancario.
Oggi può essere molto più vantaggiosa un'operazione di private equity o di venture capital ben guidata per cogliere nuove opportunità di crescita.
Nello stesso tempo sarebbe auspicabile che la grande mole di risparmio privato depositato nei conti correnti a tasso zero o addirittura nelle cassette di sicurezza, una sorta di materasso del terzo millennio, venisse finalmente indirizzato verso l'economia reale, ottenendo così interessanti rendimenti dall'incremento di valore dell'azienda.
In questo modo risparmiatori e imprenditori si libererebbero dalla totale sudditanza verso un sistema bancario che in molti casi non è più alleato dell'impresa e neanche dei risparmiatori e potrebbero davvero essere loro i protagonisti di una nuova fase di sviluppo della nostra economia.