È positivo il giudizio del presidente di Federmanager Stefano Cuzzilla sulle ultime misure varate dal Governo per fronteggiare l'emergenza Coronavirus.
"Non possiamo che esprimere soddisfazione per l'emanazione del decreto 'Cura Italia' che era atteso da giorni e che concede una finestra di respiro alla sanità, alle imprese e ai lavoratori italiani. Sono stati disposti finanziamenti indilazionabili. Lo sforzo è considerevole, ma questi 25 miliardi di euro non basteranno. Serve un impegno finanziario importante da tutti i Paesi europei e serve un coordinamento globale nella definizione di un intervento senza precedenti a favore dell'economia reale". E di fronte all'eventualità del varo di un secondo decreto economico ad aprile, il Presidente Cuzzilla commenta: "La variabile tempo inciderà notevolmente sul tipo di scenario che dovremo affrontare. Oltre l'emergenza, serve un piano di politica industriale per la situazione di crisi"
Ma in questa situazione, chiediamo al presidente di Federmanager, lei pensa che il risparmio privato italiano possa essere trasformato in una risorsa disponibile a sostegno dell'economia reale?
Si è sempre identificato il nostro come un popolo di risparmiatori. Gli ultimi dati Consob hanno confermato che, immobili a parte, la nostra propensione al rischio finanziario è tra le più basse in Europa. L'investimento in economia reale è reso ancora più complesso da una serie di endemiche particolarità italiane: c'è una barriera che è rappresentata dal basso livello di cultura finanziaria e c'è un'oggettiva difficoltà, che attiene il tema della fiducia. Per qualsiasi investimento, in particolare verso l'economia reale, serve fiducia. E la fiducia si costruisce se la legislazione è premiante, se il sistema di giustizia è veloce e certo, se la burocrazia è ridotta all'osso, se il sistema bancario è affidabile. Insomma, tutte cose di cui sentiamo la mancanza.
Come valuta gli strumenti alternativi al sistema bancario, che possono dare risposte concrete al problema dell'accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese?
Partiamo da un dato: il nostro sistema produttivo è composto dal 98% di Pmi. Moltissime sono "micro imprese", vale a dire hanno meno di 10 dipendenti. La questione dimensionale ha un impatto sulla propensione al rischio finanziario dell'impresa di cui accennavamo prima. Il problema dell'accesso al credito è una spina al fianco di molti imprenditori. Noi che rappresentiamo i manager conosciamo bene le difficoltà.
Le Pmi hanno bisogno di risorse per crescere e consolidare piani imprenditoriali di medio-lungo termine. Ecco perché accogliamo con favore la progressiva affermazione di strumenti alternativi al tradizionale credito bancario, che possano assicurare alle Pmi l'accesso al credito. Previndai, primo fondo pensione italiano per patrimonio con circa 80.000 iscritti, nato da Federmanager e Confindustria, ha optato ad esempio per una scelta coraggiosa: investire oltre 200 milioni di euro, con un orizzonte temporale di investimento fino a 15 anni, in private equity, direct lending e infrastrutture azionario.
Inoltre, il 50% di questo piano di investimenti sarà rivolto al mercato domestico, perché il segnale da lanciare è chiaro: per aiutare il sistema industriale italiano tutti gli attori devono fare la loro parte.
Quali possono essere a suo giudizio le forme innovative di investimento necessarie per sostenerne lo sviluppo in ambito nazionale ed internazionale?
Ho portato l'esempio del Fondo Previndai perché una risorsa è rappresentata proprio dagli istituti di previdenza complementare. Un segnale sta arrivando anche dai fondi di investimento, che si dimostrano sempre più interessati a società di dimensioni medio-piccole che, come ben sappiamo, sono centrali per il tessuto produttivo del Paese. Secondo il rapporto KPMG/AIFI, nel 2018 la performance complessiva del mercato italiano del private equity, in termini di tasso interno di rendimento lordo aggregato, non solo risulta positiva (16,9%), ma anche in crescita rispetto ai due anni precedenti.
Ci sono però delle difficoltà evidenti, da superare cercando di fare sistema e aprendosi al cambiamento.
In Italia il gap territoriale sta assumendo dimensioni drammatiche. Nel primo semestre del 2019, come riporta una survey condotta da Deloitte, il 92,1% delle operazioni di private equity valutate nel nostro Paese ha riguardato società del Nord Italia.
Quale deve essere il ruolo del manager nell'aprire l'azienda a forme di finanziamento innovative e alternative al tradizionale credito bancario?
L'investimento privato nel capitale di rischio di una società non quotata è sempre una scelta importante da assumere. In questo senso è strategico che la proposta imprenditoriale sia qualificata e stimolante, così da indurre gli investitori a finanziare le attività, sotto forma di partecipazione societaria, ma anche con contributi manageriali e di intervento sulla corporate governance.
Investire in private equity e venture capital vuol dire credere nelle potenzialità delle aziende italiane, puntando sul management già operativo o inserendo figure manageriali che possano incidere positivamente.
La posta in gioco è alta perché ottenere risultati, in una realtà che si apra a forme di investimento di questo tipo, equivale ad avere due traguardi all'orizzonte: far crescere l'azienda e, contestualmente, i rendimenti degli investitori.
Ecco perché la formazione delle competenze manageriali diventa strategica e Federmanager offre ai professionisti appositi percorsi di certificazione "BeManager", focalizzati su profili manageriali innovativi. Le nostre certificazioni qualificano professionisti in grado di interpretare fattori di cambiamento come innovazione, sostenibilità e internazionalizzazione, al fine di integrarli nel modello operativo aziendale.
L'impegno di Federmanager è rivolto anchealla composizione della governance delle società, quotate e non. Quest'anno abbiamo lanciato un progetto denominato "Governance2020" che mira a rafforzare i Consigli di Amministrazione delle società attraverso un'iniezione di competenze manageriali di alto profilo. Servono manager in grado di vincere sfide come quella della digitalizzazione, della sostenibilità e dell'ambiente, della competitività in un mondo globalizzato. L'impresa migliora se migliorano le competenze. La strada è tracciata.